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Qual è il lavoro giusto per me e come capirlo - AdActa Consulting
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Ma noi, realmente, quale lavoro vorremmo fare? Che cosa ci appassionerebbe veramente e potrebbe ridarci motivazione?

Dopo aver scritto l’articolo “Se il tuo lavoro non ti soddisfa, riprendi in mano i tuoi sogni”, i commenti e i rimbalzi su LinkedIn mi hanno fatto venire la voglia, forse solo mia, di approfondire il tema ponendomi ulteriori domande.

Qual è il lavoro giusto per me?

Chiunque di noi si è posto questa domanda almeno una volta nella vita.

Ho il sospetto che questa domanda ce la poniamo di solito nelle giornate in cui siamo demotivati, quando abbiamo fronteggiato dei fallimenti o quando siamo entrati in contrasto con il nostro capo.

Il lavoro che stiamo svolgendo non sempre ci soddisfa: molti, come abbiamo già visto, si trovano a svolgere un lavoro perché gli è capitato, senza averlo realmente scelto e senza aver potuto o voluto fare una scelta realmente consapevole.

Gli avvenimenti ci hanno portato, negli anni, a fare cose che non avremmo mai scelto consapevolmente di fare e che stiamo continuando a fare pensando di non avere alternative.

Ma cosa ci appassiona veramente nel lavoro?

Ma noi, realmente, che cosa vorremmo fare? Che cosa ci appassionerebbe veramente e potrebbe ridarci motivazione, strappandoci alla nostra routine quotidiana?

La frequenza con la quale ci poniamo questa domanda è inversamente proporzionale alla soddisfazione personale che traiamo dal nostro lavoro.

Le risposte che siamo obbligati a darci per continuare ad andare avanti sono probabilmente:

  • un’attività lavorativa vale l’altra;
  • in ogni caso è un lavoro sicuro che mi permette di “campare” o di avere il livello di vita che mi soddisfa;
  • alla mia età non ho alternative;
  • la situazione del mercato del lavoro non mi permette di cambiare;

Queste risposte razionali tengono sotto controllo il nostro malumore, ma non per molto.

Perché le risposte razionali non bastano a giustificare un lavoro che non ci soddisfa?

Il problema è che le risposte che ci diamo sono verissime per la nostra parte razionale, ma sono molto meno vere da un altro punto di vista.

La razionalità soddisfa la nostra parte logica, ma non quella emotiva.

Per cercare di capire, proviamo a semplificare: nello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa ci è richiesto di agire, operare, relazionarci con altri, in altre parole comportarci in un determinato modo.

Se ci pensiamo bene, sono i comportamenti che dobbiamo mettere in atto, il come lo facciamo, che differenziano il lavoro che svolgiamo da altri.

In alcuni casi ci è richiesto di essere precisi, in altri casi ci è richiesto di essere formali, in altri ancora di essere amichevoli o premurosi con il cliente o con il collega.

Tutti comportamenti che ciascuno di noi è in grado di mettere in atto, ma che per qualcuno risultano facili e naturali, mentre per altri richiedono uno sforzo, un’azione di volontà.

La nostra personalità è fondamentale nella scelta del lavoro

Il nocciolo della questione è la nostra personalità, comunemente detta carattere.

Per dare una definizione corretta di carattere sarebbe necessario scomodare la psicologia e la sua complessità, ma ai nostri fini basta comprendere, molto semplicisticamente, che nel carattere risiedono le nostre tendenze spontanee e le nostre propensioni naturali ad applicare determinati atteggiamenti.

Quanto più il lavoro che svolgiamo richiede la messa in atto di comportamenti coerenti con le nostre tendenze naturali, maggiori sono le probabilità di trarre soddisfazione dal lavoro stesso.

Quando questo avviene, tutto ci risulta facile e naturale.

Ma, se nel nostro lavoro ci viene richiesto di mettere in atto comportamenti molto distanti da quelli che metteremmo in atto spontaneamente, la demotivazione e lo stress potrebbero accumularsi con il tempo.

Può una persona introversa fare il venditore porta a porta?

La risposta sembrerebbe negativa, ma in effetti non lo è: l’essere umano ha elevate capacità di adattarsi a situazioni estreme.

Il nostro timido può fare il venditore porta a porta e magari potrà anche avere buoni risultati, se si impone un metodo di lavoro efficace.

Il problema è quello del costo energetico: con quanta tensione interna raggiungerà questi risultati, quanto stress svilupperà e quanto sarà, alla lunga, soddisfatto del lavoro che svolge?

A questo punto il problema diventa più complesso, perché cambia il focus.

Il problema non risiede nel lavoro che svolgiamo, ma in noi stessi!

Per capire la coerenza/incoerenza in cui sto vivendo, lo stress e l’insoddisfazione lavorativa, non solo devo capire bene quali comportamenti sono richiesti dal ruolo che sto svolgendo, ma anche – ben più difficile – quali sono le mie personali tendenze.

Il suggerimento pratico che mi sento di dare – sperimentato personalmente – è quello di cercare di identificare e dare un rating di gradimento ai differenti comportamenti richiesti dal ruolo lavorativo che svolgo.

Ogni lavoro richiede di mettere in atto comportamenti molto diversi e non a caso alcuni aspetti del nostro lavoro non ci piacciono ed altri invece ci piacciono molto.

La seconda cosa è invece “banale”, consigliata già da qualcun altro molti secoli fa… Cercare di comprendere le nostre tendenze personali: conoscere noi stessi!

Questo tortuoso percorso è l’unica alternativa realistica all’insoddisfazione e al continuo stress lavorativo che contraddistingue molte delle persone che incontro ogni giorno.

Non limitiamoci a lamentarci… Piuttosto impegniamoci a costruire un percorso positivo, un progetto per tentare di trarre la massima soddisfazione possibile dal nostro lavoro quotidiano.

Questo articolo ti è piaciuto e hai qualcuno a cui consigliarlo (un collega o magari il tuo capo)? 🙂Condividilo!

Stai pensando di cambiare lavoro? Qui puoi trovare quello che fa per te.

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Leonardo Paoletti

Fiorentino, con dieci anni di azienda alle spalle in area HR, ha deciso di cambiare vita al cambio del millennio e seguire la propria passione di ‘insegnare’. Con Claudio Vernata ha fondato AdActa Consulting, una entusiasmante nuova avventura, nella quale valorizzare l’esperienza di quindici anni di aula e, al tempo stesso, confrontarsi con nuove idee, metodi e persone. Anni di progettazione e gestione di percorsi di formazione e sviluppo per numerose aziende lo hanno convinto che per fare questo mestiere ci vuole passione e impegno ma soprattutto bisogna… divertirsi.